domenica 4 aprile 2010

Di sacrifici, dolcezze e devozioni domestiche

La  pasticceria in Sicilia non è semplicemente associata alla religione, è una forma di religione. E così come ci sono riti collettivi e devozioni domestiche, allo stesso modo a grandiose barocche celebrazioni liturgiche si alternano solide tradizioni casalinghe. In entrambi i casi, però, ritroviamo una sospensione del tempo ordinario e una liberazione dell'immaginario, nelle forme nei colori, nelle simbologie.
Non è un caso, perché la nostra tradizione affonda le sue radici nella pasticceria conventuale nella quale si glorifica il creato nella simulazione della natura. Pensiamo alla storia dei frutti di marzapane, golosi simulacri dei frutti destinati ad adornare gli alberi del convento di S. Maria dell'Ammiraglio.
A me quest'anno, però, il piccolo pezzo di salvezza è arrivato dalla mia amica e vicina di casa Lea Dagnino che, per una laica devozione domestica, realizza straordinari dolci. Il "pecoro" di Pasqua come lei lo chiama (o la pecorella) è una delle più solide tradizioni culinarie. Rispetto a molte pasticcerie note in città l'impasto di Lea (la cui ricetta è un segreto) è morbido, soffice e profumatissimo, realizzato con materie prime eccellenti e in diverse varianti (con pistacchio ad esempio). In alcuni bar se ne trova una versione molto pop con verdi sgargianti e strani innesti di biscotti industriali....
La pecora appartiene all'immaginario che trasforma il sacrificio in una dolcezza con una certa paradossalità barocca di intendere la religione. Rimanda a quei giorni strani e intensi del risveglio della natura e nella sua postura, che ispira calma, si leggono i segni della fine del dolore. Tutti, da bambini, ci avventammo su di per contenderci la testa, un pezzo d'orecchio, una coda, per diventare di nuovo come la terra che ci partorì.
 

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