martedì 29 dicembre 2009

A Roma, a Roma

E così siamo andati a Roma. In realtà in testa avevamo poche idee ma confuse: vedere la mostra di Caravaggio e Francis Bacon, il nuovo spazio di Antonello Colonna . Un programma minimo (sic). Come sempre, la mappa non è il territorio,  così finisce che ci imbattiamo per caso in una mostra meravigliosa dedicata a Calder,  con opere che sono una sfida all'equilibrio, incontriamo uno scrittore ceco che legge ad una smarrita platea versi di Rabelais sul vino, finiamo alla festa di Minimum fax,  scopriamo una birreria con l'impianto per le spine più grande in Italia, assaggiamo la pizza di Bonci, andiamo a vedere a teatro Michele Sinisi che parla di sequestri e vaiasse, per finire all'enoteca Roscioli con un amico in più e una visita alle cantine sotto il forno. Programma minimo,  Roma generosa.

Vini dell'anno:Nikolaihof, Chardonnay 1999


Buonissimo Lo Chardonnay di Nikolaihof 1999, Botrytis cinerea, Edelsüss (bio-dinamisch 0,75).E’ un vino fatto secondo le regole dell’associazione Demeter. Tutta l’azienda segue la produzione biodinamica e fa riferimento al calendario lunare. La particolarità di questo vino è la Botritis cinerea una muffa grigia che attacca i grappoli d’uva ( il suo nome deriva proprio dall’aspetto grigio cenere dell’uva che ha contratto la muffa). Famelica, la muffa si nutre degli zuccheri dell’uva e rende questi vini un po’ meno dolci di altri. Bottiglia bellissima, elegante. L’abbiamo aperta dopo la corsa su consiglio di Nicola Picone ed è schizzato in vetta alle nostre classifiche.
Il caratteristico colore è giallo paglierino, con sentori di miele al naso. In bocca è dolce ma non troppo, h una buona struttura, una buona acidità, ben bilanciata. Sapore molto persistente e molto minerale per un vino dolce.
Noi l’abbiamo bevuto così, da solo… in un tardo pomeriggio austro-ungarico.  E al terzo bicchiere eravamo nella Kakania di Musil.

lunedì 21 dicembre 2009

Il Pirata di Marettimo

Marettimo si impone per la sua severità: poche superfici praticabili dove si sono ammonticchiate case, splendidamente costruite e colorate, e due piccoli approdi; il resto è montagna seria, tosta, sentieri che si inerpicano e vegetazione. Il ritmo del tempo è scandito dal lavoro dell’uomo, dai venti e dalle correnti marine, dalla ciclicità con cui si va a pescare il tonno (tanto da aver dato luogo alla mattanza, quasi una rappresentazione “teatrale” rituale).
Con tutte queste chiacchere in testa ce ne andiamo a mangiare. Il posto si chiama “Il pirata”. Verrebbe da aggiungere alla nostra intrigante tesi che per sfidare questa ciclica ritualità che segna rotte fisse ci vuole uno scompiglia le mappe: un pirata, per l’appunto.

mercoledì 16 dicembre 2009

Il cibo di strada: la milza


Con questa rubrica vogliamo esplorare il vasto mondo dello street food alla palermitana. Il cibo di strada è ancora uno dei segni distintivi dell'identità della città. E  come in una città a strade dritte e larghe si alternano vicoli intricati, così alla sala da pranzo e alle sue maniere si contrappone la strada con i suoi vizi e i suoi profumi. Da una parte avremo cioè la tavola, con le sue regole ed il suo ordine, dall’altra la strada, con la sua anarchica vitalità e la sua decisa improvvisazione.Delizia per i gastronomi, cibo a buon prezzo, segno di distinzione sociale, il cibo di strada è decorativo, teatrale, esibito e spesso contrapposto alla società delle buone maniere. Il  suo consumo è al contempo fatto privato e pubblico, avvenendo in spazi dove il territorio diventa strada. La cucina di strada è insomma un’arte della comunicazione, e il messaggio è nel piatto. Cominciamo da un cibo icona: il pane con la milza

MILZA

 Della vecchia aristocrazia che mangiava le parti nobili non rimane che il ricordo, delle astuzie del popolo che ha imparato l’uso sapiente di cucinare le frattaglie c’è rimasta questa sapida eredità gastronomica.

domenica 13 dicembre 2009

Ciccio Sultano: la tradizione della variante


La nostra inchiesta sull'invenzione del territorio continua con l'intervista a  Ciccio Sultano, lo chef del ristorante Duomo di Ragusa.
Il rapporto tra un grande chef e la cucina di territorio è un po’ come la relazione tra l’oralità e la scrittura, tra la vita che prende forma nei racconti e i testi scritti che la tramandano. Il cuoco ha imparato a parlare una lingua crescendo tra le regole codificate della preparazione di un piatto; ma se vuole veramente restare fedele a quella lingua, sa che deve cambiarla, stravolgerla, spingerla oltre. Un cuoco si muove dai testi alla vita e dalla vita ai testi e non trova pace né nei testi né nella vita ma nel continuo viaggio, nel gioco infinito delle varianti. La variante Sultano.

Come definiresti la tua cucina?

A me va bene la definizione di cucina barocca. Naturalmente un barocco fatto bene. Io non ho una cucina concettuale, vedo però una tendenza a intellettualizzare tutto con effetti spesso ridicoli. All’inizio sono partito con una cucina molto legata al territorio. A poco a poco sono passato da una tradizione radicata ad una tradizione ragionata, lavorando sugli equilibri che un piatto deve avere: il rapporto tra morbido e croccante, tra zuccheri e sale, i suoi colori; poi ci deve essere un nesso che lega ciò che mangi a ciò che vedi, per far scattare un piacere ulteriore in chi sta mangiando. La mia cucina cerca di andare al di là del folklore. Una cosa a cui tendo è il sovvertimento del falso immaginario che si ha della Sicilia, io voglio fare esplodere il carretto siciliano, le donne vestite di nero, il marranzano. Inoltre noi siciliani abbiamo sì una cultura millenaria e una storia potente, ma questo però non ci può difendere. Noi dobbiamo difenderci in altro modo. La grandezza del nostro passato non può essere un alibi o uno scudo.

lunedì 23 novembre 2009

Pino Cuttaia:la memoria del territorio.


Il ristorante La Madia di Licata dello chef Pino Cuttaia ha ricevuto la seconda stella dalla guida Michelin meritato riconoscimento per una cucina di ricerca e un accoglienza piena di grazia. Noi, Pino Cuttaia, lo abbiamo incontrato più volte e abbiamo  cercato di ricostruire le sapide traiettorie che lo hanno portato a vivere una stagione di intensa creatività.
La cucina di Pino Cuttaia è memoria che si fa piatto. Nel caso dei sapori, come per alcuni stati d’animo, la memoria è un fenomeno che viene alimentato dalla moltitudine. Le preparazioni, le tecniche si possono trasmettere, ma cosa avviene per i gusti, specialmente quando appartengono a quella sfera comune dell’immaginario? L’associazione di un sapore con un’emozione, con un evento singolare o collettivo è un’esperienza che coinvolge tutti. 

mercoledì 18 novembre 2009

Osteria Francescana di Massimo Bottura


Dopo l’ennesima volta che qualcuno mi diceva: ”ma io non faccio cucina concettuale” a me veniva sempre più voglia di sperimentarla questa cucina concettuale, astratta. Vedere la parte acquea del mondo. Trapani-Birgi-Bologna e ritorno con l’ultimo volo della sera.  All’Osteria Francescana di Massimo Bottura, a Modena si sperimenta l’avanguardia delle tecniche, la libertà spregiudicata degli accostamenti, la ricerca applicata, il connubio arte contemporanea-cucina. E perdi molte delle certezze culinarie. In un ambiente con oggetti d’arte e design, Bottura ci accoglie col suo accento emiliano e rinforza il menu Sensazioni. Si muove irrequieto in sala, mobile. Siamo nelle mani di un pazzo. Questa è l’emozionante cronaca del delirio  
  Iniziamo con una Tempura istantanea di Aula in carpione  con quenelle di gelato salato. A questo piatto segue un meraviglioso Dentice grigliato in astratto (foto sopra in alto a sx) con gel di pomodori del Pienolo affumicati, bottarga di dentice, olii essenziali, polvere gelata di mozzarella  di bufala alla griglia. La grandezza sta nella semplicità di un Pane Burro e alici ( in alto a destra). Seguono il Baccalà alla materana con olio evo, crema di fagioli e brodo di coniglio. Il piatto più astratto e concettuale è il Guazzetto di cozze: salsa di impepata di cozze, cozze, ravioli concentrati di cozze, moscardini, spuma all’ aglio dolce e pane tostato.
Intuisci che la cucina ha a che fare con la sua irrequietezza che lo ha spinto a viaggiare tra l’arte,  i testi, i luoghi. A quei livelli la differenza la fa la cultura, lo stile, le buone letture, l'azzardo. Non mancano anche l'ironia e l'aspetto ludico come testimonia il  Croccantino di fois gras israeliano, cotto a bassa temperatura con aceto balsamico caramellato, mandorle e nocciole piemontesi (in alto a dx). Un piatto buonissimo che ricorda il gelato da passeggio nella forma e che nei sapori è un inno a mondi molto diversi. Tortino al cucchiaio di porri di Altedo, Tartufi neri dei colli bolognesi.
Il piatto che rivela il suo gusto e la sua ricerca è sicuramente uno dei più interessanti mangiati quest’anno, frutto di tecnica, estro, fantasia. Nero su nero omaggio a Telonious Monk: Merluzzo nero dell’Alaska  con una prima cottura in padella  dalla parte della pelle, laccato con olii essenziali e ricoperto di polvere di alghe essiccate al carbone vegetale. La seconda cottura del pesce in brodo Katsuobushi con cipollotto, carota e daikon, spaghetti vegetali e nero di seppia.
Un piatto geniale e innovativo è Orto Polveri ghiacciate di fagioli neri e lenticche, biscotto croccante con pinoli,  verdure cotte a bassa temperatura, germogli freschi, chips e salsa di pepe rosso crema di mandorle tartufi, funghi castagne e yogurt greco. Sorprendente è anche
Parmigiana di melenzane in stile Thai, latte di burrata, zenzero e lemongrass con cialda di parmigiano. Un omaggio al Piemonte sono i conchiglioni di gragnano con ragout di 5/4 di Fassona Piemontese (coda),  cotto sottovuoto ,con spuma calda di fois gras  e gel di mela campanina olio essenziale alle nocciole e aceto di mele extravecchio. Meno convincente è forse il dessert: Finte palle di profiterol, cioccolata e gianduia con cereali e frutta secca, spray di rhum e crema inglese.
Per i vini ci siamo affidati al territorio ed è stato bello fare una pausa con una buona birra:
Rosé del Cristo Cavicchioli 2004
Malvasia dei colli piacentini La Tosa 2005
Ageno 2005 Della stoppa (malvasia, trebbiano, ortrugo)
Birra doppio malto al farro Beltaine Cuprum di Bologna
Barbera 2004 Della Stoppa
Vin della vigna. Passito della stoppa
Bottura si conferma come una delle menti liucide della cucina italiana e come una punta di avanguardia.  Una cucina intensa, ricercata ma non leziosa. Bello il suo laboratorio accanto al locale dove sperimenta i suoi piatti e torna ad almanaccare. Salutiamo portiamno i suoi saluti all'amico Ciccio Sultano e affrontiamo il volo felici.
Sandro Gulì.


martedì 10 novembre 2009

Pranzo


Fammi mezza porzione aglio e olio e peperoncino. “E per secondo?” Appena finisco t’u dico. Mi piace la pasta aglio e olio e peperoncino. E’ netta. I sapori hanno una riconoscibilità tale che la difficoltà di preparazione sta nell’equilibrio dell’insieme. Il giallo dell’olio intriso di aglio, che senza il piatto sarebbe triste, un luglio senza sole. Il rosso d’u peperoncino che s’ammùccia mentre il verde d’u prezzemolo compare unnegghiè. E poi: il bianco d’u caciocavallo, che dà risalto e profondità al volume del gusto, ‘u caciocavallo che dall’alto scende delicato sul piatto come mano di padre sulla testa del figlio ma piaaano ca ‘u piccirìddu s’addurmiscìu ora ora, shhhh! asennò s’arruspìgghia, mentre la sua mano di padre e lavoratore non è mai stata accussì gentile e tranquilla come ora che accarezza la testa di suo figlio piccirìddu, sogni d’oro gioia mia, dormi con gli angeluzzi, ciao. “Te ccà ‘a pasta” Portami ‘u caciocavallo, Ciccio, per cortesia. “E te ccà puru ‘u cascavallu” Mano sinistra sul cucchiaio, caciocavallo a tempesta sul piatto, forchetta a firriàre tra gli spaghetti, bocca chiusa a masticare, birra Forst agghiacciàta nel bicchiere, minchia che bella la vita a volte.