mercoledì 3 febbraio 2010

La frittola


La frittola è  la linea di confine. Non sono in molti a oltrepassarla.  Forse per una diffidenza nei confronti di una certa segretezza suggerita dal quel “panaro” avvolto dalle coperte. Eppure è proprio nell’amorevole calore preservato dalle mante, nella ritualità dei gesti del frittolaro che ritroviamo alcuni caratteri dell’urbanità palermitana. Socialmente la frittola è il cibo del sotto-proletariato urbano, in un certo senso è forse il cibo palermitano più autenticamente popolare; milza o panelle sono più trasversali, più interclassiste, allineano il parcheggiatore e il dottore. Mangiare la frittola invece è come ricevere le chiavi della città, è come consumare un piccolo rito segreto, appartato.
Peccato che stia scomparendo. A Palermo, la si può trovare a Porta Carini, in via Costantino Lascaris e in Piazza Kalsa, allo stadio, ed in pochissimi altri luoghi dove pochi sapienti frittolari la preparano ancora secondo antiche ricette orali. La frittola è l’insieme di piccoli grassetti attaccati alle ossa del vitello, è la somma di tutto ciò che si può ricavare dopo che un macellaio ha sottratto muscoli nobili alle ossa: grassi, nervetti, cartilagini. Questi ingredienti, sottratti allo spreco della loro esser destinati alla munnìzza, vengono dapprima fritti senza aggiunta di olio, sfruttando la loro grassa natura. (Ecco perché si chiama frittola: il nome deriva dalla prima trasformazione che la cucina opera sulla materia prima). Dopo il tutto viene bollito in pentoloni e aromatizzato con alloro e spezie varie. Il prodotto, ancora caldo, viene poi trasferito nel panaro e poi ricoperto da mante, coperte di cotone grezzo, per mantenere l’elevata temperatura: il calore infatti sfinisce le fibre e preserva la morbidità e la dolcezza della frittola. Nel panaro ce ne stanno circa venti chili ma la media può aumentare a seconda delle giornate. In una fredda giornata di stadio se ne può produrre di più. La si consuma in due modi: dentro un panino, il semprefresco, oppure nella versione a “cartàta”, su due fogli cioè di carta oleata che il frittolaro chiede di apparare il più vicino possibile al panaro perché nulla vada perso. La frittola viene estratta dal panaro e con gesto ampio e perentorio messa sulla csrtata. Solitamente si aggiunge pepe nero. Si mangia per lo più nella tarda mattinata  e può valere come pranzo o come preludio a tocchi di birra.

7 commenti:

  1. é un'emozione leggervi...ricordo la bizzarra birrazza che ci siamo fatti...la frittola è troppo bella...sape bella...io mi sento terra quando mangio questi cibi...amo il profumo delle zolle di terra attaccati a me... amo la rusticità dell'uomo nell'espressione del quotidiano , perchè mi ci rivedo...la F R I T T O L A Ciccio Sultano

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  2. che bello che allo chef Sultano piace la frittola .da palermitana sono orgogliosa... da come racconta si capisce allora la passione che mette nella sua cucina ...
    Rosanna

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  3. Sarebbe interessante mangiare le frittole preparate da Ciccio Sultano

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  4. intanto grazie Ciccio...ci prepariamo a seguirti in tv su Alice Sky il 5 Febbraio. Il gruppo di ascolto è pronto..
    devo dire che l'idea di un piatto a base di frittola mi piace.....
    a prossimi giri in città..

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  5. Caro Sandro ci sto lavorando....la frittola e la Meusa sta divorando la mia evisceralità ! intanto ti dico un nuovo piatto...polpo =la gente, riccio=mare, vegetale marino, trippa=sensualità,bieta+fungo=terra, brodo =inverno...somma? Vucciria di Palermo o pescheria di Catania..Piatto che rimarra fuori carta per chi ama penetrare a fondo la libera 'espressione senza pregiudizi....Ciccio Sultano

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  6. Propongo di formare gruppo per provare il piatto fuori carta del Sultano.

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  7. Restate in contatto perche Caponata proporrà novità e iniziative

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